ECHO primo  ECHO secondo

Un'estate, al mare, papà legge sul giornale di un paio di satelliti artificiali visibili, ad occhio nudo.

Viene quindi messa in palio, scherzosamente, una lauta mancia per chi fosse riuscito a rintracciare i suddetti satelliti.

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Si trattava di giganteschi palloni metallizzati, in orbita ad un migliaio di km di altezza ed utilizzati come riflettori passivi per le trasmissioni intercontinentali, da cui il nome 'Echo'
(i 'geostazionari' non erano ancora diventati realtà).

Fatto un primo avvistamento però (cosa relativamente facile data la loro luminosità, paragonabile a quella di Venere, ritratto nel disegno qui sotto, sui tetti di via Cibrario) non era difficile prevederne i successivi passaggi, dato che i tempi orbitali erano riportati nel famoso giornale.

Ecco allora l'astrofilo folle compilare tabelle su tabelle e costruire un apposito, rudimentale strumento di puntamento per 'beccare', giorno dopo giorno, i famigerati satelliti.

Non è un problema semplice, quello di passare dagli angoli di rotazione terrestre tra un'orbita e l'altra e gli angoli apparenti, sull'orizzonte, tra un passaggio e quello successivo.

Senza ancora l'aiuto della trigonometria, all'astrofilo folle non resta che studiare graficamente il problema.

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(L8)